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Prospettive di 20 anni per la mandorlicoltura in Sardegna

  • Fulvio Tocco
  • 1 feb 2017
  • Tempo di lettura: 2 min

Cagliari, 1 feb. - La calata in Sardegna dei venditori di impianti di frutticoltura super intensivi (chiavi in mano) deve far riflettere gli agricoltori, le organizzazioni di categoria, la classe dirigente e chi ha responsabilità politiche e di governo. Il super intensivo è consigliabile per coloro che dispongono di medie - grandi estensioni di terreno agricolo e di capitali. In un recente incontro tecnico tenutosi nella Centrale agrumicola di Villacidro, Luigi Catalano, agronomo della società di consulenza professionale "Agrimeca Grape and Fruit Consulting Srl, ha sostenuto che è una pratica colturale che, (vale per l’olivicoltura e la mandorlicoltura), può dare i suoi vantaggi dai 16 ettari in su. Considerando che il territorio isolano è per lo più montuoso e con le superfici delle pianure fertili alquanto frazionate va da se che la diffusione del super intensivo può interessare un limitato numero di aziende, per cui bisogna puntare per una via dello sviluppo agricolo incentrata sui prodotti di qualità e salubrità.

Secondo gli analisti internazionali, “la globalizzazione assumerà un aspetto sempre più asiatico come diretta conseguenza dell'arrivo di Cina e India sul palcoscenico delle grandi potenze economiche mondiali”. Questa rappresentazione può stimolare letture più attente sull’uso produttivo dei suoli anche da noi. Spesso si dice che la Sardegna, dal punto di vista ambientale sia un paradiso. Quindi cosa c’è di meglio di un prodotto alimentare ottenuto in un paradiso? Ecco perché siamo “vincolati” a puntare soprattutto sui prodotti buoni e sani. Per esempio, il Piano nazionale della frutta secca, letto con attenzione, spiana la strada su prodotti che possono interessare i consumatori di una gran parte del pianeta per i prossimi 20 anni. “La crescita mondiale della domanda e dei relativi prezzi della frutta secca, hanno destato interesse dei frutticoltori italiani nei confronti delle specie tradizionali a frutto secco, in primo luogo il mandorlo, il nocciolo e il noce, ma, anche il pistacchio, racconta Carlo Fideghelli, (insegna agraria all'Università degli studi della Tuscia) uno degli studiosi più accreditati in materia di frutticoltura da reddito. Dato confermato recentemente a Villacidro da Luigi Catalano. E’ stato lo stesso Catalano ad affermare che “la mandorlicoltura ha prospettive di crescita per i prossimi 20 anni” per cui credo che la Sardegna non possa perdere questa occasione per estendere al massimo livello questa coltura. Per sviluppare la coltivazione del Mandorlo, non basta affidarsi al Psr, occorre anche un Piano Straordinario (con soldi freschi) di pronta implementazione a burocrazia zero per l’utente, che invogli tutti proprietari dei terreni, indipendentemente dalla loro condizione professione, a considerare la coltivazione del mandorlo nei loro programmi colturali. Nell’ambito del progetto “Frutta secca” del Ministero delle Politiche Agricole è dimostrato che la coltivazione del mandorlo in Italia è possibile e può essere competitiva con altre colture, soprattutto in contesti agronomici difficili e puntando su cultivar che danno alte rese in sgusciato.

Per inquadrare con realismo il problema, si prevede che l’economia mondiale crescerà ancora per cui anche se la produzione californiana continuerà a migliorare, il mercato dei consumatori sarà abbastanza ampio per dare un senso allo sviluppo della mandorlicoltura italiana. Su questo terreno la Sicilia è già operativa. La Sardegna, può mutuare, quella esperienza senza indugiare!


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